Non avrei perso tempo, questa mattina, ancora intontito dalla gioia nazionale della vittoria dell’Europeo di calcio, a parlare della tristezza di un omino piccolo piccolo. Ma, come mi insegnava mia nonna, se fai parlare un idiota senza che abbia un minimo di contraddittorio, andrà a finire che crederà di avere ragione, specie se il suo cianciare a vanvera dovesse trovare pronta ad applaudirlo una platea di suoi pari. Un compito necessario, quindi, ancorché doloroso, per l’inutilità del soggetto in prefazione.
«L’acciaio serve alla seconda manifattura d’Europa e serve anche quello del ciclo integrato a caldo. [… ] anche noi non evitiamo di parlare di Taranto, ma ne parliamo con le persone che ci propongono un futuro per Taranto, non con chi ci propone allevamenti di cozze»: ad eruttare questa sentenza, fortemente impregnata di analfabetismo affettivo, niente di meno che il presidente di Confindustria nazionale, tale Carlo Bonomi da Crema. Premesso che, per smontare questa asserzione farneticante, basterebbero uno sguardo e/o una pernacchia, tuttavia, da figlio della tradizione magnogreca e del Sud di questa Italia posticcia e traballante, sento l’obbligo di ricordare a questo fenomeno della comunicazione contemporanea come, al di là del cinismo, esista una via chiamata “compassione“. Che, badate bene, non è l’atto miserevole del signore verso il servo, ma la compartecipazione empatica al destino di uomini, animali e ambiente, su questo lembo di terra chiamato Terra.
Giova ricordare che questo soggetto, disceso dal civilissimo Nord della Penisola, a beneficare l’assemblea degli industriali pugliesi, di professione produca chemioterapici e che, molto probabilmente, conosca molto bene la situazione epidemiologica di Taranto, per rinunciare ad una fetta appetibilissima di potenziali clienti, gli ammalati oncologici. Nulla di strano, perciò, che costui difenda il suo business.
Sembra strano, invece, che i suoi sodali non gli abbiano contestato, allora ed in quel luogo, un’uscita fuori posto di cui non sarebbe stato capace nemmeno un gaffeur professionale. Ma ogni testo è buona norma che si legga nel suo contesto: Bonomi è nato e cresciuto a Crema e dintorni, luoghi sorti dal nulla delle paludi padane, per effetto dell’invasione longobarda del VI secolo d.C., ovvero ben 14 secoli dopo che Taranto venisse edificata da esploratori greci, nel corso della colonizzazione ellenica del Mediterraneo.
Fa specie, perciò, al signor Bonomi che Slow Food (e chi si credono di essere?) abbia concepito una piccola e minimale via d’uscita dal carbone, tra le mille possibili. Quella della sostenibilità ambientale, del cercare di riequilibrare la bilancia dei torti partendo dalla cozza nera, un bene del Mare di Taranto che è per tutti, non solo per gli industriali. Una scelta minimale, ma significativa. E, devo dirmi onorato, da dirigente della Rete, di non essere degnato dell’ascolto di quest’uomo, scusandomi con i lettori per aver usato questo termine. Don Tonino Bello, a proposito delle scelte minimali diceva: «Lanciare un sasso nello stagno è una scelta marginale. Il sasso va a fondo. Ma – chiosava – il livello dell’acqua cresce».
Terremo, perciò, stretto questo dato, che ad animi sensibili non può passare indifferente, mostrando, in questo, quanto possa essere temperante e paziente il cuore dei Meridionali d’Italia. Sarà, tuttavia, molto complesso spiegarne i motivi ai genitori dei bimbi del quartiere Tamburi o del Paolo VI, che meritano una qualità ed un’aspettativa di vita alla pari dei propri coetanei di altre latitudini occidentalizzate. Ed anche a chi, come Nadia Toffa, un tempo non lontano si innamorò per la vita di questa disgrazia, trascinandola addosso assieme al proprio ingiusto calvario, sebbene provenisse da Brescia, a pochi km da Crema. Testimonianza, questa, che gli intelligenti hanno bisogno di pochi elementi per esserlo. E che gli imbecilli, però, ne richiedono ancor meno.