• Chi sono
  • Contatti
No Result
View All Result
NicolaCurci.com
  • Chi sono
  • Contatti
No Result
View All Result
NicolaCurci.com
No Result
View All Result

La favola rock del messaggero degli dei

Ovvero, perché recarsi più di una volta al cinema per l'omaggio ai Queen ed al grande Freddie Mercury

Dicembre 10, 2018

Se si ama, non si resiste. E c’è prova di quello che dico. Come quando, magari celiando, si dice che quel film lo guardereste tutta la vita? Esattamente così. Dopo averlo vissuto in silenzioso ossequio, nel tardo pomeriggio di martedì scorso, infatti, ho bissato con gioia ieri sera (domenica 9 dicembre), mentre prole e consorte se la vedevano col Grinch, in simultanea. Questa volta, però, trattandosi di una proiezione domenicale, la sala era davvero piena.

Evitando di spoilerare tutto, secondo un’abitudine molto in voga attualmente, voglio subito dire che ciò che meno mi ha interessato della pellicola, alla cui realizzazione hanno sovrainteso sia il chitarrista Brian May che il batterista Roger Taylor, è stabilire il peso dell’identità sessuale di Faroukh, né tantomeno scoprirvi un numero maggiore di relazioni libertine rispetto a quello di cui ci ha parlato la popular paper britannica. Il film, al contrario, è un’epifania anticipata del giudizio collettivo: la conferma nelle stroncature della critica saccente, in realtà, si sovrappone pari pari a quella dei colleghi della stampa specializzata con l’uscita del singolo progressive che da il nome al lungometraggio. Ma solo adesso, di contro, tutti i guru del web corrono a raccontare che la vena freaky di Bohemian Rhapsody nasce dalla volontà tutta mercuriana di liberarsi del pesante fardello di una bisessualità tompagnata da pesanti macigni di perbenismo elisabettiano (un po’ in stile Windsor, se volete), per cui Mercury da Zanzibar era una specie di Lady D. dello spettacolo, felice solo dopo avere abbattuto il muro di un matrimonio capestro. Analogia devastante, anche per lei, come per Mercury, la serenità che seguiva la liberazione è durata poco.

Questa narrazione di Freddie Mercury, perciò, delude chi si attende un polpettone biografica in stile opera omnia, una specie di Alexander enciclopedico, senza la narrazione febbricitante di Oliver Stone, che aveva ripreso il sovrano macedone con il medesimo piglio sciamanico e misterico con cui aveva avvolto la figura di re Lucertola nel suo The Doors (peraltro, anche in quel caso il parere dei fan circa il trattamento riservato a Morrison fu ampiamente controverso).

I santi non si toccano, insomma, ma anche qui il problema resta il principio per cui, ai giorni nostri, una teoria sia valida poiché accettata e non il contrario,  come sempre nell’universo social. Cosa ci si aspettava da questo film, allora? Se, per caso, non vi sembrasse di aver già ricevuto una risposta sufficientemente logica, possiamo muoverci per congetture, iniziando da ciò che, oggettivamente, non ha funzionato, per procedimento maieutico. Primo, le similitudini fisiche con i Queen originali e compagnia cantante. Anche qui, esiste una solida corrente di pensiero che ritiene le somiglianze dei protagonisti addirittura ferali per la buona riuscita. Così, per fare un paragone cinematografico, come avviene in Thor Ragnarok, quando Loki mette in scena un’epopea falsificazionista per le coscienze degli asgardiani narcolettici, venendo sgamato subito dal dio del tuono. Troppo uguale, insomma, troppo falso.

Stavolta, in ogni caso, anche questo aspetto è passato in secondo piano, perché, al di là della gestualità ossessiva di Rami Malek, la differenza fisica degli occhietti sporgenti del bravo attore egiziano e l’insistenza della camera su dettagli cerulei hanno fatto chiaramente gioco all’allegoria. Questo metodo, che non vale per l’astrofisico della chitarra, praticamente un clone (e vorrei vedere, con May sul collo durante shot e montaggi), si ripropone per Taylor mani di forbice e per Deacon che, obiettivamente, nel suo parodo iniziale, abbastanza anonimo ed intrusivo, appare come un frichettone con tanto di parrucca posticcia.

A questo punto, altro è parlare delle emozioni che questo film dissotterra, sopratutto in noi che eravamo quelli della colonna sonora di Highlander, quelli di Friends will be friends, quelli di Livin’on my own, quest’ultimo brano incarnante la vera liturgia della dissoluzione, della fine dello stereotipo borghese forgiato dal thatcherismo ipocrita, della liberazione della vena queer in ciascuno di noi. Perché, e vi sfido  sul punto, non c’è nessun testimone di quel periodo che non abbia immaginato, almeno per un battito di ciglia, di indossare giacca da contrammiraglio con spalline e calzamaglia a scacchi,per immaginarsi protagonista della catarsi orgiastica di questa contemporanea celebrazione dionisiaca, e dirsi libero dalla convenzione sociale (molto più visibile in UK)  che aveva messo tranquillo il mondo a cavallo tra Ottanta e Novanta. Quando, cioè, l’inquietudine dell’atomica era stata spazzata via definitivamente dalla Perestrojka e dalla forza del movimento omosessuale mondiale con  un Mercury elevato a portacolori di campioni come Jimi Somerville, Boy George o Pete Burns.

Era quella forza che mi aspettavo di ritrovare nella pellicola che ho già visto due volte (e chissà quante volte ancora, prima che esca per l’home video). Mercury era così descritto nel mega book del Live Aid dalla copertina rossa che mia sorella aveva acquistato in edicola raccimolando le monetine: «Freddie avanza, ha lo sguardo lucido ed i muscoli da macho». Quello stesso machismo che era diventato pochade nel video di I want to break free, si ritrova in quasi tutto il film, accompagnato dalla sottolineatura a fuoco di una debolezza evidente e di una disperata ricerca di conferme, come il politico di turno che fruga negli occhi della prima fila di intervistatori la conferma che le cose dette siano sensate e condivise. Buoni pensieri, buone parole, buone azioni: anche indossando la maschera del clown triste, quando il sipario cala e lo show deve andare avanti. Freddie è umano, troppo umano. Adesso, però, lo spettro della fine non lo spaventa quanto l’idea di non potere essere appieno ciò che il destino ha deciso per lui. Un po’ come Faber, che in un’intervista prima di morire confessava candidamente, da anarchico e miscredente di non avere tanto paura della fine, che gli avrebbe fatto provare la buona dose di paura, quanto della morte civile, di non potere più essere in grado di esprimersi fino in fondo.

L’amore diventa, come sempre, il passepartout salvifico anche per quest’anima disperata, che uscirà dal suo van con la fisicità di sempre, due flessioni, tre saltelli ed un roteare di braccia, prima di darsi in braccio al suo pubblico. Già, il suo pubblico. Perché a Wembley, non importa se al Live Aid o durante il maxi concerto dell’anno successivo, eravamo molti di più di centomila. Credetemi.

Premium WordPress Themes Download
Premium WordPress Themes Download
Premium WordPress Themes Download
Download Premium WordPress Themes Free
free download udemy paid course
download huawei firmware
Download Premium WordPress Themes Free
free download udemy course
Share55Tweet
Nicola Curci

Nicola Curci

Related Posts

Il nastro di Moebius

Cozze, utopie ed ominicchi

Luglio 12, 2021

Non avrei perso tempo, questa mattina, ancora intontito dalla gioia nazionale della vittoria dell'Europeo di calcio, a parlare della tristezza di un omino piccolo piccolo. Ma, come mi insegnava mia nonna, se fai parlare un idiota senza che abbia...

La pandemia ci avrebbe resi migliori
Il nastro di Moebius

La pandemia ci avrebbe resi migliori

Luglio 3, 2021

Non è andata esattamente così. E dire che c’era stato anche il tempo per percorrere convinti questa magnifica ossessione. Non è andata, tuttavia, precisamente in questo modo. L’unico rammarico arriva dal sovvertimento delle regole galtoniane o darwinistiche, che la...

La Bella addormentata nel Virus
Il nastro di Moebius

E venne quel giorno (storia di un virus e dei capponi di Renzo)

Aprile 26, 2020

In un fine settimana che non conclude un bel niente (sempre che il niente si possa dire bello), si sentono virtualmente rombare i motori all'uscita dai box. Nessuno più sopporta la clausura, questo è un fatto. Ma sullo sfondo...

We were soldiers
Il nastro di Moebius

We were soldiers

Giugno 27, 2019

Proprio così. Confesso che è molto forte la tentazione ermetica di chiudere questo pezzo con un titolo epigrammatico. Anzi, con l'epitaffio piantato a forza sulla tomba della dignità perduta. Per la seconda volta nel breve volgere di un mesetto,...

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

NicolaCurci.com

Nicola Curci

Giornalista, Scrittore, Docente Universitario, Presidente della Condotta Slow Food delle Murge

Non siamo più importanti degli altri animali. Siamo solo più carichi di responsabilità.

Categorie

  • Festival di San Romolo (2)
  • Il nastro di Moebius (8)
  • Libri (2)
  • Note libere (4)
  • Passione Slow (11)
  • Racconti erranti (5)
  • Storie da tavola (1)
  • Uncategorized (1)

Articoli più popolari

  • La Bella addormentata nel Virus

    Cronaca di un disastro annunciato

    0 shares
    Share 0 Tweet 0
  • L’uomo delle Stelle

    320 shares
    Share 320 Tweet 0
  • Dal tramonto all’alba

    0 shares
    Share 0 Tweet 0
  • L’uomo del grano

    38 shares
    Share 38 Tweet 0
  • Cozze, utopie ed ominicchi

    0 shares
    Share 0 Tweet 0

Instagram

  • Ne approfitto per fare un po di musica
  • Or ora me lo hai detto   eppure sono passati quattro anni
  • Il Divo Claudio   nosepuedeinrivalmar
  • Ma che ne sanno loro  dall altro lato del tubo catodico
  • Capitano  mio capitano
  • Cosa hai pi   da chiedere tu  cresciuto con Pippo a pane e tiv
  • Chi sono
  • Contatti

Nicola Curci ❤ Creatink Agency

Free Download WordPress Themes
Download WordPress Themes Free
Premium WordPress Themes Download
Download Nulled WordPress Themes
ZG93bmxvYWQgbHluZGEgY291cnNlIGZyZWU=
download mobile firmware
Free Download WordPress Themes
udemy course download free
No Result
View All Result
  • Chi sono
  • Contatti