“Eccoti qua”, potrebbe aver detto San Pietro. Il clavigero del Padretrerno avrà di certo sospese per un attimo le proprie contabilità celesti, quando sei arrivato tu. Ti avrà sicuramente squadrato, mentre tu, dal canto tuo, sapendo chi avessi di fronte, avrai indossato, come al solito, quella pluripremiata faccia da schiaffi con espressione in bilico tra un “e mò, che devo fare” ed un “non lo so, vedi tu, mettimi in un posto dove non faccia troppo caldo”. Che razza di momento hai scelto per fare i bagagli, Pinù. Già ti vedo e ti immagino, per come ti sei abbigliato. Avrai indossato gli abiti di scena, con quel bellissimo “costume aragosta” di cui andavi fiero, quando ci vedevamo giù all’ALFA. La paglietta, la valigetta, perfino i baffi finti, la parrucca.
Siamo in Paradiso. Tu guardi Pietro. E Pietro guarda te. Può anche andare avanti così per sempre, perché una faccia come la tua uno non si stanca mai di guardarla. Perdipiù, il vicario del Cielo lo sa bene che sei una persona pulita, abituato com’è, nei secoli dei secoli, a vedere facce sempre diverse, ognuna con il proprio carico da poggiare sulla bascula. Da un po’ di tempo, a dire il vero, sulla terra corre voce che l’Inferno non esista più, perché il buon Dio avrebbe deciso di perdonare sempre tutti, alla fine della giostra. In questo posto stanno tutti zitti, quando si mettono in fila davanti ad una porta piena di luce. E poi ci sei tu che aspetti il tuo turno con il cappello di paglia tra le mani.
In fondo, non c’è grandissima differenza tra questo teatro umano ed il posto dove sei adesso: tra le quinte piene di polvere, tra i correntini e le martellate dei macchinisti, un po’ di eternità si respira sempre, nella ciclica illusione di vivere in eterno. Perché ogni recita è uguale per copione, ma diversa per definizione. L’attore è un uomo a cui viene data sempre un’altra possibilità, quella di fare ogni volta meglio, da crederci davvero per quante volte l’hai provata questa possibilità astrusa. Non so se te ne sei reso conto, ma adesso abiti l’Eternità.
San Pietro sorride. Lui conosce bene quello che hai fatto fino al momento della partenza: sei stato un dirigente comunale solerte e presente, un marito affezionato, un papà come ce ne sono pochi. Sabino, Giulia, Daniela e Nicola non possono essere tristi, lo sanno che cosa sei stato e che cosa continuerai ad essere per loro. Lo sappiamo pure noi, ciascuno per la propria piccola parte di cammino in cui ha viaggiato affianco alla tua carrozza. Non ci hai fatto ridere soltanto. Pensa che, quando me l’hanno raccontata, non ci ho nemmeno creduto che fosse stato il tuo cuore a tradirti…
E parlo per me, adesso che sono un omone di un metro e ottantotto ed ho 47 primavere sulle spalle: ti ho voluto bene subito, perché c’era tanto di più nel tuo grande muscolo stretto a malapena in un corpo piccolo e nervoso. Tu, assieme ad Emi, Michele, Vito (che, in verità sarebbero due), Pasquale, Tonino, Franco, Lello, Sabina, Paoletta, Mimì e Salvatore (gli ultimi tre li hai trovati ad aspettarti, al tuo arrivo) eravate i “grandi”. Noi i “ragazzi”. Che non vuol dire solo, anagraficamente, quelli con più anni. Eravate grandi. Ci facevate sentire grandi, tanto da non vedere l’ora di salire al vostro fianco su quel palcoscenico adulto. Cosa c’è di più bello del diventare grandi, passando dai sedici ai trent’anni, facendo ciò che ci si augura per tutta la vita, come il teatro? Quella, poi, non era un’associazione. Era la nostra famiglia.
Vorrei vedere la tua faccia adesso. Non perché non ci creda al fatto che stai molto meglio di prima. La mia è solo una curiosità destinata a restare piantata nel nulla. In fondo, solo un rinvio, un arrivederci. Verrà un giorno in cui ti rivedrò arrivare, da lontano. Sarai alla guida di un pulmann di quelli antichi, con le porte che si chiudono a forza. Il tuo personale e colorato carro di Tespi, dal quale farai scendere in fila ordinata tutta l’umanità che ti porti dietro. Perché in fondo, se devo dirla tutta, per me sei tu l’uomo delle Stelle. Ma non c’è trucco e non c’è inganno. Quindi, Pinù, un’ultima risata: te lo chiede il tuo pubblico.