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Cronaca di un disastro annunciato

Novembre 25, 2020

L’altra volta ci poteva anche stare, visto che ci aveva presi alle spalle. Ma stavolta ci è esploso in faccia. E, chi avrebbe dovuto accorgersene per tempo, se ne sta ancora a guardare, sperando che tutto passi così, per infusione divina. Mentre questo pezzo di territorio italiano rischia di trasformarsi in una nuova Bergamo. La cronaca dell’emergenza ci restituisce ogni giorno numeri da paura e, quando non provvede il bollettino di guerra del pomeriggio, basta dare un’occhiata agli avvisi funebri. Qualcuno dice: «Siamo in guerra, ci vuole medicina da guerra».
Non è rabbia, ma constatazione di un errore macroscopico, che continua a consumarsi sotto gli occhi di tutti, senza che l’autorità sanitaria ne prenda realmente coscienza. L’ospedale “Bonomo” di Andria è sotto assedio, oramai invaso dai pazienti COVID. Il Pronto soccorso è letteralmente intasato da casi più o meno gravi, quando non è allagato dalle paturnie dei soliti ipocondriaci, il cui delirio è alimentato dalla percezione diffusa che le vacche siano oramai fuggite e riportarle in stalla è cosa ardua. Nelle adiacenze della struttura di triage, non distanti da essa più di una dozzina di metri, giacciono alcuni container adibiti ad astanteria, luoghi in cui i pazienti aspettano di essere visitati. Aspettano. Non è migliore la situazione nella Rianimazione, quasi totalmente occupata dai pazienti intubati a causa del virus, eccezion fatta per pochissime postazioni. Anche le sale operatorie sembrerebbero essere state occupate per l’emergenza. E dire che doveva essee un ospedale no-Covid.
Fin qui, il racconto. Crudo ed impietoso, che incassa il solo effetto di creare agitazione in chi legge. Purché qualcuno ascolti (e capisca) che non si tratta delle solite schermaglie dell’opinione negazionista: il virus c’è e sta ammazzando tanta gente, che ha la sola colpa di vivere. In città, anche e soprattutto per effetto del lavoro 24/7 del sindaco Giovanna Bruno, tutte le barriere protettive sollevabili sono state alzate. I commercianti, seppure a malincuore, hanno accettato di sperimentare l’orario accorpato (“hai visto mai diventiamo una città?”, avranno pensato); gli operatori del mercato settimanale si sono divisi l’occupazione dei posteggi a settimane alternate, tra i pari ed i dispari; i bambini delle primarie e le loro maestre affrontano la scuola nello scrupolo più rigoroso di indossare la maschera per tutta la durata delle lezioni; in città, dopo le 19, si percepisce aria di coprifuoco.
Perché “anche basta” a prendersela solo e soltanto con la masseria, verrebbe da dire. La primissima percezione che si apprezza (in senso di constatazione), quando ci si sente toccati dal virus o da un legittimo sospetto, è l’assoluta inadeguatezza delle procedure di gestione dell’emergenza sanitaria. Questo non è assolutamente un atto di accusa verso le prime linee, sia chiaro. Tutti quegli infermieri, medici e operatori sanitari che lavorano in maniera convulsa per tentare di svuotare il mare col secchiello: non si vede una regia, per essere limpidi, forse perché qualche cosuccia è fuori posto, nei piani alti. È inspiegabile il distaccamento del San Marco a Barletta, mentre ad Andria il morbo infuria ed il pan ci manca. Non mi avventurerei a congetturare di riaperture dei nosocomi soppressi da un piano di riordino che ha fatto più danni di Carlo in Francia, ma i dubbi restano. L’ufficio igiene è assaltato quotidianamente da un’utenza che non vuol sentire ragione (e sarà, forse, anche questo il motivo dei tanti positivi in città, dato che si scopre solo ciò che si va a cercare). E, nonostante tutto, il quarto segreto di Fatima è legato ai numeri telefonici che non rispondono, ai rincalzi che non arrivano e all’atteggiamento attendista tenuto fino a questo momento, mentre i numeri sembrerebbero immutati solo in questo fazzoletto di terra a nord di Bari.
Diciamocela tutta: abbiamo esaurito la pazienza, ma non abbiamo spazio di manovra per esercitare la nostra libertà di dissenso. Perché ce lo impone la nostra responsabilità. E la voglia di continuare a proteggere i nostri vecchi, che sono quelli che hanno costruito il futuro.
Ho personalmente la mia buona dose di paura, come l’avete tutti voi che avete avuto la pazienza di leggermi fino a questo momento. Tuttavia sono un uomo del Sud e, per noi uomini del Mezzogiorno d’Italia, c’è solo un modo per tenere a bada la paura della morte, ed è sorriderle nei denti. Per questo motivo, coltivo un solo desiderio, proprio mentre scrivo. Vorrei entrare in una stanza che conosco bene, occupata da una persona in particolare, a cui molti, in questa tregenda, vorrebbero rivolgere più e più domande. Ma non mi rivolgerei a lui. Piuttosto mi girerei verso il suo segretario (ammesso che ne abbia uno), giusto per chiedergli: «Ma questo è del mestiere?»

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Nicola Curci

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Nicola Curci

Giornalista, Scrittore, Docente Universitario, Presidente della Condotta Slow Food delle Murge

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