Sono stato in silenzio (o quasi) per nove anni. In tutto questo tempo, si sa benissimo quello che è successo in città. Molto meno, in verità, si dice di ciò che poteva essere ed invece non è stato. Messa così, la riflessione avrebbe una lettura priva di quelle deissi necessarie a fare capire chi o cosa abbia avuto responsabilità in questo processo. Tutti. Proprio tutti. Chi ha agito sbagliando. Chi non ha agito fregandosene. Chi ha fatto politica perché voleva la poltrona. Chi non l’ha fatta perché era rassegnato su un metodo che NESSUNO ha mai condannato. E allora ricordo quello che era successo quando si votò nel dopo Zaccaro, anche allora si parlò di “liberazione“. Un modo poco responsabile per allontanare le responsabilità da sé. Comodo, no?
Un ex sindaco di Andria usava una frase che feci subito mia: “Chi indica un responsabile, prima o poi subirà il ritorno del proprio indice“. Diciamoci tutto: adesso leggere tutti i commenti pruriginosi contro Nicola Giorgino è come quando (per chi sa leggere) si apre un giornale e si ricercano le yellow stories, quelle brutte. Nessuno va in cerca delle buone notizie, se è vero come è vero che, per questo motivo, la Rete delle reti è il mezzo meno democratico che esista. Allora, a me come a tanti, che abbiamo creduto in questo sindaco, ci tocca sentire e leggere le parolacce e le volgarità lanciate nel mucchio da sottoprodotti della carne che ingiuriano e gettano veleno ma che, molto probabilmente, hanno votato i loro CONSIGLIERI COMUNALI dietro la promessa del posticino o del favore, mentre noialtri ingenui, quelli a cui tocca parte della gogna, ci impegnavamo nella costruzione della città possibile. Ma dove eravate? Ma che diritto avete?
Ve lo spiego io che diritto o che pretesa si accampa: quando cade il sesto grado di separazione, ognuno si sente in dovere di dare del “tu” a Papa Bergoglio, a Barack Obama od a Theresa May, perché la rete lo rende tecnicamente possibile, senza filtri o traduzioni. A Nicola Giorgino, di cui sono amico di antica data, un rimprovero su tutti, in un rilievo di metodo: il pronome “tu” non andava concesso a chiunque, gli uomini hanno pari diritti e dignità , ma storie differenti.
Di campagne elettoriali ne ho fatte, di corse e di confronti, di nottatacce pure. Ma tutta la gente che incontravamo, a dire il vero, aveva un solo imperativo categorico attaccato in testa: fare il proprio utile (e sono stato pulito). L’espressione “bene comune” è motivo di sorriso. Invocarla genera tenerezza, se non declinata nel rituale ipocrita della politica parlata. Andate a rivedervi il consiglio comunale scorso e contate le volte che la parola “rispetto” viene pronunciata: facilmente perderete il conto, ma non si capisce bene se chi la pronuncia ne conosca realmente il significato, perché “le parole sono importanti” e non vanno usate come sassi perché hanno la forma alata di un boomerang. Il mantra rimaneva sempre lo stesso, anche se la metodica non mi piaceva: “Voglio il posto, voglio il marciapiede, voglio, voglio, voglio…”
Sorrido, amaro. Credo che non sfugga ad alcuno che la caduta di re Giorgio sia stata, anche in questo caso, ordita come una congiura dai suoi baroni (badate, non ex baroni, poiché una volta creato vassallo, il titolo non le lo sciacqui via come fosse shampoo). Non ho voglia io di aprire altri fronti, ma intanto vorrei essere chiaro: statisticamente, ogni crisi si genera per motivi che sono lontanissimi dai principi alti della democrazia. E’ quasi sempre, come stavolta, un fatto personale. Politico, si dice. Ma che la dice lunga, sul modo elegante di aggiustare argomentazioni poco oxfordiane, come quelle che possono avere ex assessori, ex presidenti del Consiglio comunale, ecc.
Perché, per quanto la 142 abbia spostato l’asse gravitazionale verso la tecnostruttura e le sue forme, nessuno mai deve dimenticare che la potestà degli indirizzi, la sovranità nelle scelte delle direzioni, spetta al Consiglio comunale. Se nessuno, perciò (o quasi nessuno) ha mai obiettato per tutti gli altri otto esercizi precedenti (o sette, a seconda delle visioni), resta da chiedersi perché. Domanda inutile: è più facile insultare e festeggiare. Apprezzabile la riflessione di Sabino Zinni, invece: “Non c’è nulla da festeggiare“. Come dargli torto. Il ridicolo si trasforma in grottesco.
Il mio amico P. (che il Signore me lo conservi a lungo), nella sua infinita saggezza, una notte mi disse, mentre guardavamo la sagoma orrenda di un monumento deturpato in guisa pacchiana: “Questa città non la salvi più. L’arroganza è scritta nelle gerarchie urbanistiche della Catuma, tanto per fare un esempio.” E’ abbastanza chiaro qual è il problema? In una città dove l’abusivismo edilizio, negli anni che furono, superava la soglia della tollerabilità estetica e normativa, in famiglia, all’ora di pranzo non si parlava di scuola, crescita o salute, ma si bestemmiavano “gli sbirri” che avevano notificato la condanna alla madre o al marito per i reati di abusivismo: come credete che siano cresciuti quei figli, in quale linea di rispetto per le istituzioni?
Giorgino ritorna a casa. Sulle ragioni di opportunità, non discuto. Avessi deciso io, non l’avrei fatto cadere, poiché un anno passa con il commissario e pure con un sindaco inchiodato da un patto a termine. Ma le brutture restano. Ebbene, al netto delle contumelie e di faccende che non conosco e che saranno esaminate nelle sedi competenti, io che rimango fuori dal mondo, ho un grande rimprovero da recapitare al mio amico (ex) sindaco: dovevi abbandonare l’habitus di “signore“. Dovevi sapere che, in questa partita, saresti sceso allo stesso livello di personaggi coi quali non puoi prendere nemmeno un caffé. Non parlo del popolo minuto, delle persone della strada, delle mamme in difficoltà e dei pensionati. Parlo della gente con un “bidone di immondizia al posto del cuore“. Adesso che cosa sei stato costretto a fare? Qualcosa che tu odi profondamente, fare dei nomi, indicare dei responsabili, aprire dei fronti: non è il tuo stile, capisco bene quale sia stato il tuo stato d’animo. Passerà. Come tutte le vicende umane. Goditi la libertà. E che Dio ce la mandi buona.