In un mondo che si va facendo sempre più piccolo, ritrovo, per la strada battuta dalla memoria, una bella canzone che, nel remoto 1985, la semisconosciuta e brava cantante Laura Landi ebbe il coraggio di presentare al Festival dei fiori. E ho avvertito il bisogno di riassaggiare quell’aria, intessuta di storie ed eleganza, stavolta con la mia famiglia. L’idea, in verità, è stata cullata da un regalo di mia moglie per la mia prima metà di secolo. Quindi, io e Jacopo non potevamo che essere d’accordo.
Trolley in bagagliaio, strada e niente traffico. Dalla Puglia imbronciata di poco dopo metà luglio, risalgo con quieta impazienza per mezzo Stivale, prima di tuffarmi nel dedalo di strade che, dalla periferia, menano al centro del borgo antico, passando per Santa Maria Novella.
Preso soggiorno all’Hotel Palazzo dal Borgo, appartenuto, in epoca rinascimentale, alla famiglia Medici dal Borgo, a due passi da tutto, avrei avuto la gioia immensa di imbattermi in Giorgio, il bulldog inglese mascotte della struttura. Tuttavia l’incontro è annullato poiché il cagnolone viene tenuto precauzionalmente al riparo dalla canicola. Serata afosa con l’obiettivo di sembrare quanto più possibile turisti, scoprendo, di converso, come anche il trionfo globale degli Hard Rock Café possa diventare un’occasione di incontro con la bellezza, se è vero che i Seminole hanno piazzato il loro repositorio fiorentino di chitarre (tra cui la Telecaster di Joe Walsh ed il basso di Flea) in un posto stupendo dove fare musica, un vecchio cinema all’angolo di una piazza della Repubblica storpiata dai dehors.
Il giorno secondo ci aspetta la mostra interattiva su Leonardo da Vinci, in via de’ Servi. Un undici e lode per chi ha capito, con questo piccolo ma efficace museo privato, che non c’è didattica possibile o migliore dell’interazione, che fa imparare cimentandosi a ricostruire arcate, ponti o altre diavolerie leonardesche. Per tutte le età.
In serata, dopo l’opulento giro del blocco monumentario del Duomo, tappa a “Il Latini“, obelisco della gastronomia gigliata, non tanto per la cura dei luoghi e della cucina, quanto soprattutto per l’approccio all’accoglienza dello staff di sala e della titolare, una donna più che contemporanea, ma con le radici piantate solidamente nel retaggio del proprio cognome.
Il terzo die è dedicato agli Uffizi ed all’ossequio alla grandezza urbanistica delle adiacenze di Palazzo della Signoria. Non c’è nulla che non sia stato detto dell’opulenza delle collezioni custodite nelle stanze del museo italiano più noto al mondo, salvo che una visita andrebbe prescritta dal medico dopo i trent’anni di età a ciascun italiano e che la spesa del biglietto dovrebbe essere a carico del SSN. Finito il giro stendhaliano, basta girare l’angolo per incontrare un vecchio amico, Alessandro Frassica, l’uomo che ha reso il panino un’arte e che regge il confronto istituzionale con la dirimpettaia Accademia dei Georgofili.
La serata, rinfrescata dalle correnti di Ponte Vecchio, si adagerà sulle panche di “Coquinarius“, locale radical nel centro del centro, dietro la cupola del Brunelleschi. Formalmente corretto, nel suo superamento dinamico della tradizione, dato che non ci sono arrosti o chianinerie varie nel menu.
L’ultimo giorno tocca alla gita fuori porta, in direzione Pisa. Questa (lo ammetto) è stata proprio una virata da turisti. Non si resiste, tuttavia, al richiamo della torre tortile, testimone dei fasti di un tempo, come non si può nemmeno abdicare al compito di abbracciare il vecchio amico Mario, che, da Andria, ha sterzato a cavallo del destino, atterrando nella multietnica e plebea (troppa nobiltà a volte, fa male) piazza delle Vettovaglie, dove ha impiantato la sua stazione di arrivo del panzerotto, bene di esportazione pugliese.
Tra chilometri e caldo, si rientra alla base in prima serata, con il congedo finale a tavola, stavolta a “Buca Mario“, luogo di culto della cucina locale, nelle viscere di un palazzone scuro. Eleganza, equilibrio, armonia: nulla da aggiungere ad un luogo dove, entrando, si ha chiara la cifra del rispetto dei clienti, coccolati e riveriti fino al conto.
Poi la notte.
All’indomani si riparte per la Puglia, si torna a casa. La colazione, la valigia pronta ed i saluti in tasca, assieme al gradito omaggio del proprietario dell’hotel, un romanzo che trasuda amore per Firenze, un regalo che porto via con affetto.
Mentre si riparte, la promessa di ritornarci, magari con un meteo più clemente, in cui la pietra refrattaria delle strade non sembri simile al rivestimento di un forno, specie nella seconda parte di ogni calda serata. I ringraziamenti più belli vanno ai ragazzi che ho conosciuto al Palazzo dal Borgo: a Corso e a sua sorella, deliziosi receptionist innamorati della città, alla loro collega Leila. fiorentina e schietta. Poi via, in silenzio, scivolando dall’Arno all’Appennino, trascinandoci dietro tutti quei piccoli particolari diventati vita.