Se non fosse per i social network, sempre pronti a ricordarci, con invasività senza precedenti, le scadenze naturali della nostra agenda umana, potremmo pure pensare di essere ancora nel 2010. Oppure, se l’immaginazione lo consentisse, anche molto più in là. Dipende, in definitiva, da quanto della nostra giornata possiamo dedicare alle speculazioni, un tempo prerogativa dei pastori auleti sdraiati in calma arcadica sotto l’albero. Adesso che l’onda dell’emozione ha scavalcato questa fine d’anno, tra l’altro, senza particolari scossoni come avvenuto in altre circostanze storiche, ci avviciniamo a passi levati verso il periodo più triste dell’anno, il cosiddetto Blue Monday. Come al solito e per un trascinamento linguistico ineluttabile, abbiamo mutuato dalla cultura anglosassone anche questa nuovissima scadenza. Si tratta del 15 gennaio, il giorno che, statisticamente, è considerato come il meno felice dell’arco annuale. All’epoca del web 3.0, in pieno fermento informatico ed investiti dalla rivoluzione digitale dell’internet delle cose, non possiamo più fare a meno di convivere con i paradossi statistici, che altro non sono (è bene ricordarlo) che una verità parziale, di convergenza massimale, fatta di tante verità. Facile, perciò, demolirla, se solo pensassimo ad una lotteria, un matrimonio o un figlio arrivati in quella “nefasta” data.
Per essere onesti, ricordiamo che il mito del 15 “blue”, il colore della tristezza per gli americani, nasce dal fatto di essere appena usciti da un lungo filotto di gozzoviglie, regali e tantiauguriancheateefamiglia che ci hanno sconvolto la vita, conducendoci per mano ad una depressione post partum resa più grave dall’arrossamento del conto in banca. “Un pendolo che oscilla tra dolore e noia, passando attraverso la fugace illusione del piacere”, che a metà del mese di gennaio, insomma, fa sentire i suoi rintocchi ricordando all’uomo di che materia sia fatto. Non lo dico per ottimismo, nemmeno per posizione culturale o economica: il 15 gennaio si schiarirebbe se si conoscesse la Bellezza. Questa dimensione accompagna l’uomo in ogni momento: prima, durante e persino dopo la sua esistenza. Il segreto è aprirsi alla sua fruizione senza troppi filtri di carattere ermeneutico.
La Bellezza è ovunque. Essa è rappresentata, attraverso le opere d’arte, rivelata, esponendosi senza filtri allo spettacolo della Natura, riconosciuta, immergendosi con semplicità nella profondità della sfera personale. Spesso le tre dimensioni interagiscono con efficacia tra loro, generando nel soggetto fruitore uno stato di samadhi, concetto che, me ne scuso fin d’ora, non mi permetto di spiegare e che conoscono bene tutti i praticanti la meditazione.
A me, personalmente, questo è accaduto una manciata di giorni prima di Natale, quando mi sono recato in visita ad alcuni parenti nella mia bella città natale, Ruvo di Puglia. Se pensate di restare delusi dal racconto, vi invito a non proseguirne la lettura. Questo luogo, per me, ha sempre il caldo sapore del ritorno a casa, al calore delle origini, per quanto non lo abbia vissuto in maniera così diutina e disti appena una ventina di chilometri da casa mia. Vi spiego dove e come è avvenuto l’incontro con la Bellezza. Parcheggiata l’auto sotto il monumento di Cotugno, sono arrivato con mia moglie e mio figlio in piazza Castello. Là, sotto gli occhi del Cristo Redentore e la vigile sorveglianza della storia patria, qualcuno ha pensato bene di piazzare alcune installazioni che è banale definire geniali. L’hanno chiamate “La Maraviglia“, nutrendo la rassegna di eloquenti sottotitoli come quello che recita “quando il bambino era bambino“. Giostrine in legno immobili come il motore di Aristotele, fiabe in QR code ad accompagnare i provetti equilibristi sul filo, cavallucci intramontabili, altalene e persino un cavallo di Troia, purtroppo non più assurto a prodotto dell’ingegno di Odisseo, ma a pericolo che corre in rete (le incognite dei tempi). Mi sono maravigliato anche io, mentre scorrevano dentro la mia mente le belle immagini della mia infanzia, la Giulia 1300 T di mio padre, la spesa della vigilia nei negozi di alimentari a Ruvo, le processioni del Sabato Santo ed il caldo insopportabile delle estati nella pineta. Cosa era successo? Semplice operazione nostalgia? Piuttosto, la chiamerei pacificazione, riconciliazione con la Bellezza autentica, favorita piuttosto dalla funzione del ricordo. A tagliare in due lo spazio, un filo teso sul quale una statua di equilibrista tentava un’improbabile traversata aerea ricordava certamente la difficoltà quotidiane di cui è costellata l’umana esistenza. Ma il ritorno all’immobilità dinamica di giostrine in legno, piazzate in mezzo alla piazza principale di una cittadina del profondo Sud vuol dire molto di più. Racconta che non c’è tempo per il 15 gennaio, che può essere sempre o mai, dipende dalle prospettive. Narra di una comunità che cerca di ripartire, tra le alterne questioni di cui è infarcita la cronaca quotidiana, proprio dalla Bellezza. Non è strano che accada a Ruvo, città del Sud con una ingente tradizione culturale sulle spalle.
Faccio cento metri e mi fermo per un’oretta a casa di un vecchio amico, l’enoteca l’Angolo Divino. Ecco, Giulio e sua moglie Caterina rappresentano l’anti 15 gennaio. Con la tenacia che li accompagna da decenni, come se fosse il primo giorno (questo è il vero segreto, ndr), si battono nella loro bottega per ri-conoscere e divulgare il principio primo del marketing territoriale legato al nostro Paese: la bontà nasce dalla genuinità e dalla passione per il cibo ed il vino. Accompagnati dallo stesso spirito di sempre, sono l’altra faccia della Maraviglia, quello che non si arrende alla barbarie dei tempi, così come hanno fatto un Sindaco e i suoi collaboratori portando in piazza l’essenza intima del gioco, la condizione del bambino che è in ogni essere vivente.
Quando rientro a casa, un po’infreddolito ma felicissimo, incappo in 32 dicembre di Luciano De Crescenzo: “Ieri non è più – dice l’ingegnere- e domani non è ancora, come anche l’oggi, che è il punto di unione tra due cose che non esistono , non esiste.” Filosofia, credo. O semplicemente maraviglia?