Era da un lustro all’incirca, e cioè da quella maldestra pantomima del concorso farsa RAI di Bastia Umbra, che mi ero ripromesso di capire di più di questa terra, che sfuggiva dal carniere delle mie esperienze, per ritrovarsi appena in scampoli di gioventù passati allo stadio in sfide animose contro i “grifoni” del sor Gaucci. Ragione necessaria e sufficiente per approfittare di questo scampolo di vita sospesa, che ancora si srotola nelle esistenze del post Covid, e partire con la famiglia alla volta del capoluogo umbro.
La prima raccomandazione strappata al mio amico Carletto, batterista e camionista, a cui, perentoriamente ingiungendo, strappavo la strada più agevole, memore del viaggio incubo del quinquennio antecedente, in cui, natura a parte, si visse un’andata (e credo anche buona parte del ritorno) tra curve e bestemmie. Da Civitanova Marche, un tiro di saetta sulla statale che arriva a Foligno, per poi raggiungere agevolmente la sede del buon ritiro, l’Hotel Brufani, assiso in cima alla cima della città antica.
Nel corso del primo giorno, quello del trasferimento, sbatto contro un cartello che indica quello che è definito tra i più bei borghi d’Italia, il microcomune di Spello. Lunedì, caldo e dischi orari fanno sì che la fermata duri solo un’oretta appena. Ma, salito in cima, in una piazzetta linda e curata come un salottino, penso che, se fossi stato un carabiniere, avrei scelto la stazione di Spello. Subito dopo, si riparte per Perugia, destinazione hotel. Tornanti e gallerie urbane (mai viste di così lunghe) mi menano in piazza Italia, una sorta di giardino pensile che si affaccia sulla vallata umbra, da cui diparte il celebre corso Vannucci, la strada più bella ed elegante dell’intero impianto urbano. Una parentesi sulla scelta dell’hotel, contrassegnato da cinque astri: mio nonno diceva che, per farsi scannare, occorreva un buon macellaio, il migliore. Quindi, in barba al pauperismo dei tempi che corrono, opto per questa soluzione. Ma non avrei potuto scegliere situazione più confortevole e didattica di questo sontuoso edificio di proprietà della SINA dei conti Bocca, che prima del mio arrivo aveva già ospitato gente come Anthony Hopkins oppure Elizabeth Bowes-Lyon, meglio conosciuta come la Regina madre di Inghilterra. Giammai ebbi a pentirmene.
Il primo giro in città, nelle viscere della Rocca Paolina, un groviglio viscerale di arcate e scale mobili che collega, con situazioni innovative e da 40 anni, parte della parte alta dalla città di mezzo, sbarcando davanti alla sede Rai dell’Umbria, dopo avere insaccato nel suo ventre secoli di storia ed il Grande Nero di Alberto Burri.
La serata si conclude a tavola (noblesse oblige) ad Altromondo, tappa consigliatissima dove la tradizione umbra si sostanzia in una lettura schietta ma ben eseguita, senza voli pindarici, annaffiati da un rosé gentile (anch’esso umbro), Le Cupe della cantina Carini, una specie di must del luogo assieme all’acqua minerale Tullia, sapida ed ubiqua.
Il giorno successivo sia apre tra le braccia di san Francesco, al Subasio. La commovente visita delle due basiliche, guidata da padre Dino, appassionato storico in saio, prelude ad una giornata in cui molte cose non saranno casuali, come lo stesso incontro col religioso. Una brevissima fermata di ristoro alle Delizie del Subasio, stazione di gusto shabby chic, anticipa la visita di Santa Maria degli Angeli, dove, tra tanti frati possibili, ne incontro uno di Ruvo di Puglia (!) il mio adorato luogo natio. Tra roseto, Porziuncola e preghiere, il pomeriggio vola, scandito da un caldo feroce, implacabile. Ma tant’è.
Discesa in macchina verso un Umbria di valle un pochino più dimessa, fino ad un capolavoro architettonico, anzi, scultoreo, che si staglia di fronte al colle di Montefalco, la città del Sagrantino. Ecco Carapace, una maestosa testuggine realizzata sotto la guida del maestro Arnaldo Pomodoro per i fratelli Lunelli, proprietari della Tenuta Montebuono, dove sorge la scultura, ma meglio conosciuti come i signori Ferrari, prestigioso marchio trentino che ha scelto di calare i suoi assi in terra umbra. Lunga visita, fantastica conduzione da parte della bella e preparatissima rappresentante aziendale, degustazione, sinceramente, un po’ sotto le righe, forse anche complice l’estuo non confacente al grintoso Sagrantino.
La serata perugina si spegne alla trattoria da Cesarino, in piazza IV novembre, sotto il gotico Palazzo dei Priori. Nulla da eccepire, salvo il gran caldo ed un gusto abbastanza conforme.
Il die terzo è dedicato ad una gita fuori porta con tanto di battello lacustre da Passignano sul Trasimeno. Scalo facoltativo all’isola grande, che si percorre in lungo e largo (ma anche in alto) in un’oretta o poco più. Tra zanzare (verdi ed innocue) e vespe, l’incanto si poggia su un paesaggio quasi estremo, nella sua semplicità. Dopo la circumnavigazione automobilistica del lago, il quarto d’Italia ed il meno profondo, una pausa goliardica da Faliero, posto stranissimo che val la pena di raccontare. Nel mezzo di nulla, sulla provinciale, dopo un paesino che si chiama Dirindello, spunta da una curva una maestosa baita che cela nel suo stomaco un forno, da cui sembra sia partito tutto. I perugini narrano (e c’è da crederci) che la Maria, moglie del titolare, sia riuscita a far aggiungere il proprio nome all’affisso, proprio per la bontà della sua torta al Testo (una specie di focaccia bianca che viene servita con farcia probabile o improbabile, a seconda dei gusti), cotta nel prefato forno dalle fattezze dantesche. Nota crisi: qui si serve con il ticket elimina code, anche di mercoledì. Ma la Maria, dicono, si lamenta di non avere mai fatto ferie in vita sua.
Il pomeriggio perugino sarà dedicato (perché solo adesso sarà possibile, causa chiusura) alla Galleria Nazionale dell’Umbria ed alle sua meraviglie. In rassegna statica, passano opere di Perugino, Pintoricchio, Arnolfo da Cambio, Beato Angelico, Duccio di Boninsegna e Gianlorenzo Bernini (solo alcuni, per carità). Una settimana non basterebbe ad apprezzarne il fasto e l’importanza testimoniale. Un secondo solo, invece, per capire la fortuna di quegli amministratori comunali che hanno questa Bellezza un piano sopra le teste.
Rientro dolce al Brufani, con l’immancabile coccola del bagno nella cisterna etrusca al terzo piano interrato, impreziosito dalla voluttuosa sosta nell’area idromassaggio. La serata termina (ancora) a tavola, nella spettacolare Taverna, a metà di corso Vannucci, con un sorprendente tatin di cipolla di Cannata e un sapido spaghettone pepe e pecorino, accompagnato da un Grechetto umbro maliardo e fresco. Nanna.
L’ultimo giorno esodisce con la visita a Gubbio, città meravigliosamente custodita, in cui hanno risolto tutti i problemi di dislivello, grazie ad ascensori e trenini panoramici. Tour obbligatorio e consigliatissimo, anche per chi langue di ginocchia. Lo sguardo alla piazza pensile più grande d’Europa, una breve sosta edule alla Tana del Lupo, prima dell’ultima impresa: l’ascesa in teleferica per l’Eremo di sant’Ubaldo. Una bellissima esperienza, in un cestello rovente che, in soli 3 minuti, trascina i vistatori fino in cima all’abbazia, dalla quale si gode una vista unica, anzi rarefatta. La breve sintesi non rende l’idea, comunque, della sofferenza indotta dall’ultima fatica assolata fino alla chiesa, mitigata da una leggerissima bava di Eolo.
La serata si conclude in uno dei miei neo eletti luoghi del cuore, ovvero la Bottega del Vino. In questo intrigante locale soprelevato sul piano stradale, il bravissimo Luigi ci intrattiene con storie di terra, bagnate dall’interessante Futura, vino ancestrale con il tappo a corona prodotto da Madrevite. Peccato esserci venuti solo l’ultima sera. Sipario.
La mattinata ultima, quella del 31, è dedicata a cartoline e rifiniture. L’ultimo plauso al fantastico staff del Brufani, che si preoccupa pure di poggiarmi il trolley nel bagagliaio. Questo hotel resterà nel mio cuore, lo giuro.
Viene il tempo della partenza. Vado verso la marina. E mi perdo.